domenica 14 gennaio 2018

pc 14 gennaio - Considerazioni critiche da Trento sull'assemblea di 'Potere al Popolo'

Il blog proletari comunisti è a disposizione per la pubblicazione di tutte le informazioni e posizioni critiche collettive e individuali, rispetto all'operazione politica "POTERE AL POPOLO"; così come è a disposizione di tutte le posizioni che nelle prossime elezioni sostengono il boicottaggio in diverse forme del voto


Trento, considerazioni critiche sull’assemblea di  “Potere al Popolo”

Il 12/01/2018 si è tenuta anche a Trento l’assemblea di “Potere al Popolo”. L’incontro presieduto da Antonia Romano dell’”Altra Trento a Sinistra” cha ha visto, tra gli altri, la partecipazione di Lucia Amorosi dell’ex OPG Napoli era anche incentrato  sull’organizzazione  delle liste per il Trentino-Alto Adige. Circa duecento i presenti.

L’intervento di apertura della consigliera del comune di Trento Romano, rappresentante dal 2015 di un aggregato di forze di sinistra istituzionale costituito da pezzi di SEL, del PRC ecc., ha riproposto il solito schema della necessità di sintetizzare i movimenti promuovendo l’unificazione dei conflitti e delle lotte anche assicurando una rappresentanza istituzionale. Per l’occasione tutto questo è stato presentato come la proposta di un’alternativa utopica volta a “dare voce a chi non ha voce” ed a “restituire rappresentanza al popolo”. Inoltre ha sottolineato come l’assemblea non avrebbe certo potuto limitarsi alla discussione, ma avrebbe dovuto anche occuparsi delle candidature locali, dell’organizzazione della raccolta delle firme, ecc.

Successivamente è intervenuta Lucia Amorosi ex OPG Napoli del coordinamento nazionale. L’esperienza del centro occupato ex OPG e delle attività realizzate nel rapporto con  differenti realtà popolari di alcuni quartieri di Napoli, su cui lungamente si è soffermata l’Amorosi, è stata presentata
come un’esperienza modello tale da richiedere, in collegamento con realtà analoghe ed in generale con le diverse situazioni di conflitto e di lotta, una forma di rappresentanza in grado di assicurare una possibilità decisionale ad una vasta area sociale e politica di opposizione sulla base del programma elaborato dal coordinamento nazionale. 

Su questa linea si sono mantenuti anche i successivi interventi, alcuni dei quali hanno sottolineato la necessità della “rottura dell’Europa” riproponendo in sostanza la tesi per cui i problemi per la democrazia, per le condizioni di vita e di lavoro, per i servizi di rilevanza pubblica ecc., trovano le loro radici nei diktat e nei regolamenti imposti dal “capitale finanziario europeo”.

Il dibattito è durato relativamente poco, ad un certo punto Pantano a nome del coordinamento regionale di “Potere al popolo” (costituitosi evidentemente nelle scorse settimane in forme non pubbliche), ha tirato fuori, già preconfezionata, la lista delle candidature. Ovviamente formata dalla “sinistra radicale” e per niente dissimile (quasi un copia incolla) da quelle del passato, da Rifondazione all’”Altra Trento a sinistra”. Quindi la serata è proseguita con le “questioni organizzative” (raccolta firme, coordinamento tecnico, organizzazione di raccolte fondi con assicurazione di puntuali resoconti, pubblicizzazione della lista, rapporti con la stampa, volantinaggi,  ecc.).

Il nostro è stato l’unico intervento controcorrente.
Abbiamo fatto presente che se avevamo delle aspettative iniziali e che se ipotizzavamo persino la possibilità di votare per la lista avevamo presto cambiato idea dopo aver minimamente approfondito i termini di tale operazione. Abbiamo rilevato e denunciato il grande deficit di ragionamento politico emerso nei vari interventi dell’assemblea a partire dai promotori della stessa, dall’assenza di una proposta politica ed ideologica capace di confrontarsi con l’avanzamento del fascismo nel nostro paese, alla totale assenza di bilanci del passato. Abbiamo quindi criticato chi, come la lista “potere al popolo”, propone programmi unificando varie istanze, la maggior parte formalmente scontate, di lotte, movimento e soggettività sociali e politiche, senza mai precisare come si dovrebbero conseguire gli obiettivi programmatici indicati.
Abbiamo criticato a fondo la tesi illusoria e demagogica di questi ragionamenti che rimandano ad una sorta di credenza mistica nella capacità delle lotte e dei movimenti e delle (cosiddette) loro rappresentanze in sede istituzionale di generare meccanicamente lotte e movimenti più ampi, un crescente consenso anche elettorale ed una crescente capacità di “presenza istituzionale”.
Abbiamo posto il problema, per colpire il nazionalismo di fondo dei ragionamenti sulla fuori-uscita dall’Europa, di chi dovrebbe poi gestire un’effettiva rottura progressiva dell’Europa, visto che in sé la “rottura dell’Europa” non presenta nulla di democratico. Infine abbiamo denunciato come un imbroglio la pretesa di colmare il “vuoto politico a sinistra”  (ammesso e non concesso l’uso di quest’ambigua terminologia) con chi è stato eventualmente il principale responsabile della creazione di tale “vuoto” ossia quella stessa “sinistra radicale anticapitalistica” che oggi si ricicla con tutta evidenza in “potere al popolo” assumendo in essa un ruolo centrale.
Sigla, quella di “potere al popolo” per altro accattivante in una situazione di dilagante populismo secondo la logica per cui “evocare il popolo” può contribuire a “costruirlo” e, soprattutto, a cavalcarlo.  

A questo resoconto è necessario aggiungere qui sinteticamente alcune ulteriori considerazioni.
Tutto questo è avvenuto dopo il misero e miserabile tentativo del Brancaccio approfittando delle opportunità che realtà come l’ex OPG con la proposta della lista “potere al popolo” hanno offerto alla vecchia e logora “sinistra radicale anticapitalistica” (PRC in primo luogo) di ricostruirsi un immagine minimamente passabile.
Evidentemente l’ex OPG non si è prestato a quest’operazione trasformista per ingenuità, ma per scelta, poiché ad un certo punto la scelta a questo tipo di realtà si impone per forza di cose.  Quando si iniziano a costruire elementi di “società civile alternativa” (come fatto per tutta una fase dall’ex OPG) poi ad un certo punto ci si trova, volenti o meno, a doversi confrontare con una serie di problemi di fondo. Dal problema di quale strategia e linea politica adottare a quello di quale ideologia si assume come riferimento per andare poi alla questione di fondo ossia quella di “come poter decidere” ed attraverso “quale sistema di rappresentanza”. Ci si trova così di fronte alla solita biforcazione. Bisogna allora decidere, e spesso velocemente, se andare nella direzione della costruzione di uno Stato alternativo, con relativo problema di definizione di una strategia e di una linea politica adeguata e di promozione di “una riforma morale ed intellettuale” di massa (ideologia rivoluzionaria) capace di sostanziarsi in elementi di costruzione di un potere politico statale operaio e popolare (ossia di iniziativa militante e di costruzione ed esercizio della forza capace di far valere le decisioni democraticamente prese), oppure  scegliere il percorso inverso, quello reazionario di tipo “passivo-rivoluzionario”.
In una forma o nell’altra, rispetto a determinate questioni o ad altre, quest’ultima scelta è già stata fatta miriadi di volte a partire dagli anni 70 dai ceti politici, intellettuali e di movimento (dai gruppi della Nuova Sinistra, a nugoli di intellettuali, sino, nel corso dei decenni,  a vari centri sociali ed a certi sindacati di base come USB per esempio con l’accordo sulla rappresentanza del 10 gennaio 2014).   Ad un certo punto tutte queste realtà, a partire da concezioni, da ideologie e linee politiche antioperaie, opportuniste e piccolo-borghesi, hanno usato i lavoratori e le masse popolari, il loro duro impegno, le loro speranze e le loro lotte, per inserirsi ai loro danni, in modo via via sempre più organico, nella “società civile reazionaria”, ossia nel complesso delle associazioni (partiti istituzionali, sindacati di potere, no profit e terzo settore, cooperative,  chiesa cattolica, organismi culturali, centri sportivi, politiche sociali ecc., ecc.) e delle articolazioni e delle istituzioni dello  Stato legate all’esercizio ed alla manipolazione del consenso comprese le istituzioni egemoniche, vari settori dei servizi sociali pubblici e delle amministrazioni, sino appunto alle rappresentanze istituzionali vere e proprie, dai consigli comunali, provinciali e regionali, parlamento, alle miriadi di commissioni e connessi all’operato di tali “rappresentanze”).
Questo non vuol dire che per principio bisogna disertare le elezioni parlamentari, il problema è però quello dei motivi di fondo dell’eventuale decisione in tal senso. La proposta di “potere al popolo” non si presenta affatto, da questo punto di vista, come genuina o effettivamente al “servizio del popolo”.

Slai cobas (per la coscienza di classe)
13/01/2018,

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