lunedì 22 maggio 2017

pc 22 maggio - La condizione precaria dei giovani postini in un racconto-denuncia

(Da je so' pazzo)
Dopo svariati anni da quando avevi fatto la domanda per il “portalettere”, il postino sul motorino, le Poste ti chiamano e ti dicono di andare a fare dei test in sede un venerdì di maggio. Quando entri nell'enorme palazzo delle poste a piazza Matteotti già capisci dove stanno quelli che si trovano nella tua stessa situazione. Sono in un angolo ad aspettare, con delle espressioni che sono tra lo speranzoso e l'arrabbiato. Si comincia a parlottare. Ci fanno salire in un ufficio e ci fanno accomodare, in attesa di non si sa bene cosa, e ci fanno compilare un modulo con i propri dati. Ci si comincia a conoscere perchè il tempo di attesa è tanto. Solo due hanno 25 anni, gli altri dai 30 anni a salire. Tutti plurilaureati: infatti si scopre che il requisito minimo per essere chiamato per fare solo 3 mesi (contratto a tempo determinato) il portalettere era avere una laurea con almeno 102\110. I master e i corsi post -laurea abbondano quando compiliamo i moduli. Ognuno comincia a raccontare qualche aneddoto. Tutte brutte storie. Brutte a raccontarle e brutte a sentirle. Colloqui fatti alla Pirelli di
Milano finiti con un “ ci dispiace ma lei è troppo qualificato per questo lavoro” e centinaia di euro buttati per arrivarci. Storie di contratti a progetto pezzotti, stage gratuiti e lavoro a nero sottopagato e super sfruttato. Storie di precariato, altro che quell'essere flessibili che i politici ci raccontano. Seduti a quel tavolo, in attesa di un lavoro per soli tre mesi, sembravamo i personaggi del romanzo di Agatha Christie “10 piccoli indiani” dove i protagonisti, perfetti sconosciuti rinchiusi su un'isola, cominciano a morire uno alla volta. E morire, mi direte, è una parola un poco azzardata. Ma invece è la parola giusta. Perchè arrivare a 30-35 anni, avendo fatto sacrifici per tutta la vita e non riuscire a trovare un lavoro, che sia anche il portalettere per soli 3 mesi, non è assolutamente bello. E' mortificarsi nel profondo. Non avere quel minimo di stipendio per potersi realizzare, per esprimersi come essere umano, in fin dei conti è proprio questo: “non vivere”. E a differenza dei protagonisti del libro, che morivano perchè ognuno era colpevole di omicidio, noi non abbiamo nessuna colpa. Se non quella di vivere in un sistema economico malato che in nome del guadagno sfrenato sfrutta la stragrande maggioranza delle persone per arricchire una minoranza."
Beh, noi abbiamo poco da aggiungere a questa storia di vita vissuta. Perchè ormai ci resta ben poco da fare. Siamo la maggioranza. Riconosciamoci, organizziamoci e lottiamo insieme. Perchè da soli siamo deboli e attaccabili. Ma uniti siamo una forza e possiamo davvero ottenere tante vittorie e riprenderci tutto quello, sogni compresi, che ci hanno tolto!
#poterealpopolo

Nessun commento:

Posta un commento