martedì 22 novembre 2016

pc 22 novembre - CRISI: PARTIRE DA UN PUNTO DI VISTA DI CLASSE - da Speciale Reprint della Rivista "LA NUOVA BANDIERA" - 2° parte

Pubblichiamo il secondo capitolo dell'articolo di analisi politica sulla Crisi, contenuto nello Speciale Reprint della rivista mlm "La Nuova Bandiera" - per richiedere la rivista scrivere a: pcro.red@gmail.com


"Nell'affrontare la questione occorre necessariamente partire da un punto di vista di classe, cioè che cosa è nell'interesse del proletariato e delle masse popolari.
Non abbiamo interesse che la crisi si “risolva” dal punto di vista del capitale; quindi dobbiamo smascherare le interpretazioni e le soluzioni della crisi che vanno nell'interesse del capitale e che si traducono nello scaricamento di essa sulle spalle dei proletari e delle masse popolari.
Il capitalismo mobilita i suoi governi e i suoi Stati per fronteggiare l'emergenza principalmente finanziaria e rilanciare la produzione creando nuove occasioni di profitto, riducendo i costi, in primis il costo del lavoro. Se la soluzione del capitale va avanti la crisi si risolve; certo creando le condizioni epocali per una crisi ciclica ancora più dura in futuro, ma intanto si “risolve”. Il capitale è oggi più forte che nel '29 per risolvere la sua crisi. Le sue strutture concentrate e cooperanti sono molto esercitate, lubrificate e la costruzione dell'unità di intenti tra di loro più facile che nel passato.
Contrastare le soluzioni del capitale è un aspetto decisivo per l'approfondimento della crisi stessa. La discarica di essa sui proletari ne provoca le reazioni, alimenta la lotta di classe, e ci sono le condizioni più favorevoli per contrastare le soluzioni capitaliste della crisi.

Ma il contrasto verso i piani del capitale deve essere reale e deve distinguersi da essi nettamente
nell'analisi e nella terapia. Far passare e alimentare l'idea nel proletariato che la crisi sia fondamentalmente originata dalla speculazione finanziaria, lungi dall'essere una “lotta contro la crisi”, è una compagna di strada del capitale.
Non distinguersi nell'analisi della crisi, provoca un'alleanza capitale-lavoro per uscire da essa, alleanza che serve solo gli interessi del capitale.
Il capitale attualmente ha bisogno assoluto del ruolo dello Stato, dopo la sbornia neoliberista, delle risorse di esso per ridurre i danni della devastazione finanziaria, socializzare le perdite e riattivare i meccanismi del profitto. Perorare, quindi, un nuovo intervento dello Stato nell'economia, fino a nazionalizzare banche o industrie in crisi coincide con l'interesse oggettivo del capitale di uscire dalla crisi e contribuisce alla realizzazione di quell'interesse generale del capitale che ha bisogno in fase di crisi di imporsi, anche con l'aiuto della lotta operaia, all'interesse privato dei singoli capitalisti o a quello di frazioni di esso che sono l'incrocio dei profittatori falliti della pre crisi e dei pesi ingombranti della sua ripresa. In questo senso, è proprio l'alleanza tra interessi del capitale e “salvatori” dalla crisi il nemico principale che i proletari devono combattere.

Due varianti di questa situazione sono: i sostenitori che l'uscita dalla crisi debba avvenire con la ripresa dei consumi, secondo la teoria che il capitale nella sua sete di profitto abbia ridotto i salari in modo tale che non possono acquistare i prodotti, per cui rilanciando i salari si rilancia il consumo e quindi la produzione, si emancipa il capitale industriale dalla sua finanziarizzazione, e... il capitale prospera nuovamente. A parte che si tratta di una sorta di “favola consolatoria”, viene trascurato il carattere della produzione capitalista come produzione di merci e dello stesso lavoratore come merce, che fa sì che non il consumo ma la produzione sia la fonte del profitto e che non l'assorbimento del consumo sia il fine del salario, ma quello della riproduzione della forza-lavoro. Di conseguenza non ci può essere produzione là dove non c'è profitto e né espansione del salario tale da assorbire la produzione.
Il risultato effettivo di questa impostazione è di propugnare al massimo una lotta sindacale estrema, motore dello sviluppo del capitale, esattamente l'opposto dell'interesse del proletariato come classe del superamento del capitale.

La seconda posizione è una forma di neo Keynesianismo estremo, la quale sostiene che vi deve essere intervento dello Stato, ma questo intervento deve servire a indirizzare e anche a cambiare il capitale; e quindi l'aiuto al capitale non è per far riprendere il capitale così com'è ma per indirizzarlo verso produzioni ad alta occupazione, verso la bonifica ambientale, verso una statalizzazione più strutturata.
A parte la facile considerazione che si tratta di un già visto, i cui esiti furono nazismo e II guerra mondiale, entriamo nel merito.
'Alta occupazione'? Lo sviluppo dell'automazione e informatizzazione della produzione hanno reso i settori legati ad essa gli unici a più alto profitto e con minore caduta del saggio di profitto, e questi settori sono, in generale, a minore occupazione. Ciò rende impossibile che, salvo autodistruzione e ritorno all' 'età della pietra', i settori ad alta occupazione possano diventare i settori di ripresa del capitale.
'Bonifica ambientale'? Anche qui la funzione dell'intervento dello Stato sarebbe quella di creare nuove fonti di profitto che diventino appetibili per il capitale, a fronte della saturazione di alcune delle fonti attualmente in uso. Questo non è altro che un processo di travaso degli attuali mezzi di produzione, compresa la forza-lavoro, non un fattore di sua espansione e sviluppo; e, fermo restando la questione profitto come ragione della produzione, questo accentuerebbe ancora di più il divario, pur esistente e concausa della crisi, tra produzione e consumo (vedi questione auto ecologica e piano Obama).
'Statalizzazione più strutturata'? Essa è possibile in campi della produzione in cui la concentrazione del rapporto Stato/industria è organica – come l'industria bellica e la militarizzazione dell'economia o la neo nuclearizzazione.
Quindi, chi perora queste “soluzioni” come uscita dalla crisi, non solo è sostenitore che il capitale riprenda, ma nel contesto attuale propugna soluzioni peggiori del male.

Per queste ragioni obiettive il contrasto nella crisi, dal punto di vista del proletariato come classe sociale deve organizzarsi e agire non solo contro il capitale e i suoi governi, ma fuori dall'intero arco delle attuali opposizioni, in tutti i paesi imperialisti, e sul piano internazionale, nel quadro della contraddizione imperialismo/popoli oppressi, fuori da buona parte dell'opposizione che si definisce antimperialista, movimento antiglobalizzazione, fondamentalismo islamico, movimenti di liberazione nazionalistici, ecc.

Questa crisi ha un solo merito reale, l'affermazione dell'analisi marxista del capitale e delle sue crisi, che montagne di sacerdoti, filosofi, scienziati e politici del capitale avevano voluto cancellare, sia nella trionfante affermazione del neoliberismo, sia con il riformismo socialdemocratico e revisionista. La “vecchia talpa” ha scavato nelle fondamenta delle teorie degli apologeti di questo sistema.

Tutto questo viene alla luce e le armi feconde della critica marxista è a fondamento della “critica delle armi”, cioè della rivoluzione necessaria, come uscita non del capitale dalla crisi, ma dell'umanità dalla crisi del capitale. (CONTINUA)

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